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Da notare ancora che tra i beni venduti "nelli feudali" figura il mulino dal quale il Marchese ricavava una rendita di "Tomuli” quarant'uno e mezzo l'anno" di grano, pari a scudi 21,90 (gli scudi erano quelli correnti nello Stato Pontifìcio e i "tomuli", misura degli aridi nel medesimo Stato, corrispondevano probabilmente alla "soma" del Regno di Napoli).

Andando avanti nel tempo, troviamo, inopinatamente, qualcosa che ci riporta al Medio Evo. Nel 1742, infatti, l'Università (il Comune di allora) di Castelbasso
cominciò la stesura del Catasto Onciario. Nelle "rivele" (specie di dichiarazioni dei redditi) e nelle pagine manoscritte del Catasto conservato nell'Archivio di Stato di Napoli ricorre spesso il nome della "Contrada della Farà" che confina "da piedi con il letto del Fiume Vomano".

Ora il termine "farà" appartiene alla lingua longobarda: dapprincipio fu usato per indicare un gruppo parentale costituito da famiglie discendenti da un capostipite comune, per significare man mano anche l'insediamento in cui viveva tale gruppo.

Perciò il toponimo settecentesco consente di diradare appena la nebbia del tempo per farci tornare a ritroso fino al Medio Evo e intravedere, là dove oggi sorge Castelnuovo, un plausibile insediamento longobardo.

Il Catasto Onciario, inoltre, ci tramanda altri nomi delle contrade della pianura del Vomano di pertinenza dell'Università di Castelbasso: Contrada delle Piane schiuse (detta anche Piana di Vomano), contrada delti Marcelli (altro nome della Contrada della Farà), Contrada di Casa Aragona, Contrada della Piana di S. Lucia, Contrada dell'Ort'Omano, Contrada delle Pianeschiete, Contrada della Via del Ponte, Contrada del Fosso di cinque bocche, Contrada del Mulino (o anche Contrada delle Pantane), Contrada di S. Cipriano. In quest'ultima sorgeva la chiesa dedicata al santo omonimo, ma a quel tempo era in stato cadente.

Nella pianura del Vomano vi erano terreni principalmente seminativi, ma c'erano anche vigne, "arbori di frutti gentili" (ciliegi, fichi, mandorli, mele, pere, ecc.) e non mancavano querceti.

Il fiume Vomano era ricco e impetuoso d'acque e non di rado dilagava sottraendo parecchie tomolate di terra alle coltivazioni; da novembre fino a tutto maggio era inguadabile e impediva così ogni contatto e ogni commercio con l'altra sponda, a meno che non si volesse raggiungerla attraverso il ponte di Montorio.

 

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