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L'abbondanza d'acqua del fiume consentiva l'irrigazione dei terreni necessaria per la coltivazione del riso; cereale che era una componente importante nell'alimentazione della popolazione (e nei guadagni del Marchese che riscuoteva "un quinto dei risi"), ma la cui coltivazione era osteggiata dalle Autorità napoletane perché la stagnazione dell'acqua
nei campi favoriva la diffusione della malaria. Non erano dello stesso avviso le Università rivierasche del fiume Vomano, tra le quali quella di Castelbasso, che in un
memoriale inviato al Sovrano di Napoli nel gennaio del 1800 facevano presente che

"la voluta infezione dell'Aria non viene partorita dalle risiere dei quei luoghi, ne' quali non formano verun ristagno d'acqua, o siano paludi", sottolineavano che "per essersi vietate le semine de' risi nella di loro riviera del Fiume Vomano, (...), quelle Popolazioni gemono nelle più grandi miserie", mentre prima "non solo percepivano il frutto de' loro sudori nell'ubertosa ricolleganza de' risi, ma quei medesimi terreni, che l'avevano prodotto erano poi fertilissimi nel produrre abbondanti, ed eccellenti grani". Ragion per cui "le Università supplicanti (...) non solo prestano il loro consenzo (sic), ma supplicano la Maestà Vostra, ed implorano la Reale Clemenza di volersi degnare, dispensando dalla Legge generale, di permettere la semina di detti risi (...), affinché quei Naturali si possano ritogliere da quelle miserie, e povertà, che attualmente stanno soffrendo".

Non ci fu niente da fare e, tra alterne vicende, la coltivazione del riso nella pianura del Vomano scomparve.

E che la pianura del Vomano fosse fertile si può dedurre dal fatto che la maggior parte dei vari appczzamenti di terreni era di proprietà di benestanti, del Clero, e dell'Università. In essa abitavano solo due famiglie che avevano in comune la fonte; una famiglia, composta da un certo Sabbatino di Marzio e da sua moglie Silimberia, si trovava vicino alla chiesa di Cipriano, l'altra, abitante nella Contrada della Piana di S. Lucia, era la famiglia più numerosa e più ricca di animali e forse anche di terreni di tutta l'Università di Castelbasso. Teodosio Odoardi, il capofamiglia di professione "camparolo" (specie di guardia campestre), e sua moglie Elena avevano 4 figli e con loro vivevano il fratello Pasquale con il proprio figlio, l'altro fratello Michele con moglie e figlio e il terzo fratello Don Antonio Odoardi, sacerdote. Facevano parte del gruppo famigliare anche tré garzoni di cui uno per la custodia delle giumente, l'altro per le pecore e il terzo per le vacche.

 

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